L'unico forse no, ma sicuramente il più importante baluardo della resistenza europea all'egemonia americana e cinese in ambito tecnologico. L'invenzione che arriva dalle fredde terre di Svezia. Lo strumento che ha rivoluzionato la fruizione musicale di chiunque, annientando il mercato dei supporti fisici (eccezion fatta per il vinile che sta vivendo una seconda primavera, complice il suo fascino vintage). La piattaforma dove ascoltare chiunque (o quasi) da qualuque device, sottoscrivendo un semplice e anche piuttosto democratico abbonamento. Stiamo parlando di Spotify, il servizio di streaming musicale più famoso e utilizzato del pianeta che deve la sua storia di successi a un uomo, Daniel Ek, il suo co-fondatore nonché Ceo (insieme a Martin Lorentzon), il ragazzo orfano di padre nato nei sobborghi operai della città di Ragsved, che vanta oggi un patrimonio di oltre 5 miliardi di dollari.
La storia di Spotify, di come sia nata l'idea, di come si sia sviluppata a tal punto da portare il servizio ai numeri di oggi, con i suoi oltre 240 milioni di utenti nel mondo, è strettamente legata a quella del suo ideatore. Andiamo a conoscere più da vicino l'imprenditore svedese che tiene alto il nome dell'Europa in un settore, quello tecnologico, in cui la concorrenza statunitense da un lato e quella dagli occhi a mandorla dall'altro è spietata, imponendosi su tutti gli altri. Senza scampo.
Daniel Ek nasce povero, senza padre a Ragsved, sobborgo operaio svedese. Classe 1983, solo un anno in più di Mark Zuckerberg (tra gli ospiti al matrimonio del nostro guru di oggi sul Lago di Como nel 2016), il poco più che quarantenne imprenditore svedese mostra fin da piccolo una particolare propensione verso la programmazione e il business. A soli 13 anni intraprende la sua prima impresa commerciale creando siti web direttamente da casa sua e reclutando compagni di scuola che svolgessero con lui il lavoro, utilizzando il laboratorio informatico dell'istituto, in cambio di videogiochi.
La modalità è adolescenziale, ma le idee sono chiare, così come i primi guadagni evidenti: ben 40mila euro al mese a soli 15 anni. Tre anni dopo Ek si trova a gestire un team di 25 persone. A 23 anni fonda la società di pubblicità online AdVertigo venduta in breve tempo all’azienda di digital marketing TradeDoubler per 1,25 milioni di dollari. Daniel Ek é ricchissimo.
Nello stesso periodo, in cui, di fatto, giovanissimo Daniel Ek poteva solo godere della sua ricchezza, dovuta alla vendita di AdVertigo, decide, invece, (siamo nel 2006) di andare a lavorare in uTorrent, il più noto concorrente dello storico BitTorrent, un protocollo di tipo peer-to-peer finalizzato allo scambio e alla distribuzione e condivisione di file in rete. Ne diventerà AD ma l'esperienza durerà poco ma sarà comunque per lui molto utile nel rendergli familiare il mondo della pirateria. Come affermerà in seguito alla creazione di Spotify: "Non si può mai legiferare con la pirateria: le leggi possono sicuramente aiutare, ma non togliere il problema, l'unico modo per risolvere il problema era creare un servizio migliore della pirateria e che ricompensasse l'industria musicale - che ci ha dato Spotify. "
E arriviamo al 2006, anno in cui Daniel Ek insieme a Martin Lorentzon (che aveva precedentemente lavorato per TradeDouble) lancia Spotify AB e solo due anni dopo, nell'ottobre 2008, nasce ufficialmente Spotify, la piattaforma che ha legalizzato lo streaming musicale a fronte del pagamento di un abbonamento mensile cambiando per sempre il volto dell'industria musicale.
In realtà, l'idea di creare un servizio con queste caratteristiche, come vera arma contro la pirateria, era già balenata nella mente di Daniel Ek sei anni prima, nel 2002, quando il servizio di musica peer-to-peer Napster chiuse soppiantato da altro sito illegale, Kazaa. Il tutto si concretizzerà di lì a qualche anno con Spotify, appunto, un sistema che funzionava inzialmente su un modello di distribuzione peer-to-peer, ispirato a quello di uTorrent, per poi passare, nel 2014, al modello che conosciamo di tipo client-server.
Con i suoi oltre 240 milioni di utenti nel mondo e un fatturato che dopo qualche flessione degli ultimi anni è tornato a crescere, Spotify non ha nulla da invidiare alle creature digitali a stelle e strisce, anzi, entra a pieno titolo tra i Big Tech come unica realtà con passaporto europeo. Un risultato non da poco per il ragazzo della periferia di Stoccolma.
La Redazione