Il tema della digitalizzazione del Paese è cruciale in Italia ormai da diversi anni. Dietro a tanti discorsi, approfondimenti e relazioni, c'è un concreto piano di trasformazione sostenuto da ingenti investimenti pubblici e privati. Perché connettere davvero tutta l’Italia non significa solo navigare più velocemente, ma vuol dire creare infrastrutture digitali che permettano a imprese, scuole, ospedali e cittadini di accedere a servizi moderni e competitivi.
Purtroppo, nonostante i progressi, l’Italia è ancora un Paese a due facce quando si parla di connettività. Nelle grandi città, la fibra ottica è ormai una realtà consolidata: si naviga a oltre 1 Giga e la copertura cresce rapidamente, mentre in molte aree rurali o periferiche la situazione è diversa: la connessione resta instabile, lenta o del tutto assente. Proprio per colmare questo divario digitale, lo Stato ha deciso d'intervenire in modo massiccio, trasformando la banda ultralarga in una priorità nazionale.
Potremmo raggruppare gli interventi di matrice pubblica per connettere in fibra ottica il territorio nazionale in tre grandi famiglie: Piano BUL, PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e Italia a 1 Giga. Il Piano BUL (Banda Ultralarga) è stato avviato nel 2015 per portare internet veloce anche nelle aree meno appetibili per i privati, dove gli operatori non investirebbero da soli. A realizzare concretamente la rete è Open Fiber, società partecipata, incaricata di cablare milioni di unità immobiliari nelle cosiddette aree bianche, cioè zone prive di infrastrutture di rete.
A questo si è aggiunto il Piano Italia a 1 Giga, finanziato dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), con l’obiettivo ambizioso di garantire entro il 2026 connessioni da almeno 1 Giga in download in tutto il Paese. Parliamo di oltre 6 miliardi di euro di investimenti pubblici, che vanno a integrare le risorse private degli operatori di telecomunicazioni.
Parallelamente, esistono anche altri piani aggiuntivi che completano l'insieme d'investimenti e di risorse finalizzati a connettere il Paese:
La strategia al fine costruire un’infrastruttura digitale più capillare, stabile e, ovviamente, veloce è composita e complessa. Il ruolo dei soggetti pubblici in questa sfida è cruciale, ma non è sufficiente. L’efficienza dei piani dipende dalla collaborazione anche con i player privati del mercato TLC che si occupano di portare la rete fino alle case (FTTH, “Fiber to the Home”) o alle cabine di zona (FTTC, “Fiber to the Cabinet”). Oltre a Open Fiber, un attore importante è TIM, che con il progetto FiberCop punta anch’essa a estendere la rete di nuova generazione.
Una rete in fibra ottica non è più un'opzione ma un imperativo categorico. Dal punto di vista economico, gli effetti sono evidenti: secondo le stime dell’OCSE, ogni aumento del 10% nella penetrazione della banda ultralarga può generare fino all’1,5% di crescita del PIL. Ecco perché la connettività non è più considerata un lusso tecnologico, ma un’infrastruttura strategica essenziale, esattamente come le linee di trasporto.
Nonostante i progressi ci siano, restano anche alcune criticità, come i ritardi nei cantieri, le difficoltà burocratiche e le differenze territoriali, tutti elementi che continuano a rallentare la corsa verso il 100% di copertura. In molte zone, la posa della fibra è complicata a causa dei da vincoli urbanistici o per la presenza di aree montuose o per la scarsa densità abitativa. Inoltre, serve lavorare anche sul fronte dell’adozione: avere la fibra disponibile non basta se i cittadini o le imprese non la attivano.
Quello che si deve incentivare è un impegno parallelo sulla cultura digitale, sulla semplificazione dei contratti e sull’alfabetizzazione tecnologica. La sfida non è più solo tecnica, ma culturale: capire che la connettività non è un privilegio, ma un diritto, e che investire in rete significa investire nel futuro. La fibra ottica è ancora un cantiere aperto dove si lavora in modo febbrile per l'interesse di tutti.
La Redazione